Anche alla luce delle accuse secondo cui Neuralink avrebbe ucciso più 1500 animali nei suoi test, Arthur Caplan, bioeticista della New York University, pensa che l’azienda dovrebbe essere più chiara sulle sue ricerche. “Credo che sia doveroso nei confronti dei partecipanti alle sperimentazioni poter dire: ‘La nostra scienza è solida’, e questo deve essere confermato da altri scienziati, non solo da persone che hanno interessi nell’azienda – commenta Caplan–. L’imperativo morale è quello di proteggere le persone”.
Da un punto di vista legale, tuttavia, Neuralink non è tenuta a rivelare i dettagli dei suoi test sull’uomo e sugli animali. Negli Stati Uniti l’Fda prevede che le aziende impegnate in una sperimentazione farmacologica forniscano un resoconto di tutte le fasi di test su ClinicalTrials.gov, un database governativo che include informazioni sul numero di partecipanti coinvolti in uno studio, le sedi in cui si svolge la sperimentazione e i risultati da valutare. Gli studi di fattibilità sui dispositivi medici in fase iniziale di sviluppo, invece, non devono registrarsi sul sito.
Gran parte di quello che sappiamo sugli esperimenti di Neuralink arriva da un opuscolo che l’azienda ha diffuso lo scorso autunno, dove si legge che per lo studio sono prese in considerazione persone con almeno 22 anni e affette da una tetraplegia causata da una lesione del midollo spinale o da sclerosi laterale amiotrofica (Sla). La fase iniziale della sperimentazione, che durerà in tutto circa sei anni, prevede diverse visite mediche da svolgere nell’arco di 18 mesi, mentre il follow-up a lungo termine proseguirà per i successivi cinque anni.
Ma Caplan e altri esperti ritengono che il pubblico meriti maggiori informazioni sulla ricerca e sulle condizioni attuali dei partecipanti. “Le persone tengono molto al loro cervello. È la cosa più personale che abbiamo – dice Justin Sanchez di Battelle, un’organizzazione di ricerca senza scopo di lucro dell’Ohio che ha condotto ricerche sulle Bci negli esseri umani –. Quando si inizia a parlare di costruire dispositivi medici per il cervello, bisogna essere trasparenti”.
Una maggiore apertura da parte di Neuralink avrebbe anche l’effetto di ridurre la disinformazione riguardo alle effettive capacità della tecnologia. Secondo Sanchez, le interfacce neurali non sono ancora in grado di leggere la mente come si potrebbe pensare. I soggetti a cui vengono inseriti gli impianti sono sottoposti a un periodo in cui vengono addestrati a pensare a una determinata azione, come per esempio spostare un cursore. L’impianto rileva i segnali cerebrali che codificano quell’intenzione e nel corso del tempo il software della Bci impara a riconoscerli e a tradurli in un comando che esegue la volontà dell’utente.
“Esiste un enorme divario tra quello che oggi viene fatto in un sottoinsieme molto piccolo di neuroni e la comprensione di pensieri complessi e di azioni cognitive più sofisticate”, afferma Sanchez. Raggiungere quest’ultimo risultato richiederà una neurotecnologia molto più avanzata, dotata probabilmente di impianti multipli inseriti in diverse parti del cervello e capaci di registrare l’attività di moltissimi neuroni in più.
La maggioranza dei cittadini americani interpellati per un sondaggio del 2022 condotto dal Pew Research Center si è detta contraria alla diffusione di chip cerebrali in grado di migliorare le funzioni cognitive. “L’opinione pubblica teme la manipolazione del cervello – afferma Caplan –. Intraprendere questo percorso in modo poco trasparente non è il modo migliore per ottenere la fiducia del pubblico”.
Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.
Fonte : Wired