Depurare le acque reflue, insomma gli scarichi delle città, per trasformarle in risorse idriche per i campi agricoli. Una soluzione circolare, realizzata nell’impianto di Peschiera Borromeo del Gruppo Cap, la società che si occupa del servizio idrico in provincia di Milano, per affrontare in modo concreto la carenza in Italia di oro blu. L’acqua che manca: oggi fonte di preoccupazione, domani un problema nazionale. Una soluzione alla sua crescente scarsità si chiama Sanitation safety plan (Ssp), un modello innovativo a livello internazionale applicato nel depuratore lombardo in base a un nuovo regolamento europeo sull’uso delle acque reflue.
Quello di Peschiera Borromeo, a sud-est di Milano, è il primo in Italia, altri sono stati avviati in depuratori a Parigi, Sofia e in Germania, seguendo standard consigliati da tempo anche dall’Organizzazione mondiale della sanità sui trattamenti di controllo e monitoraggio dell’acqua. L’obiettivo è chiudere l’anello del recupero delle acque reflue che oggi, una volta depurate, arriva solo ai correnti d’acqua superficiali. E invece così potrebbe servire soprattutto al settore primario, date le ultime stagioni in cui la siccità nel comparto agricolo italiano si è rivelata inedita rispetto agli ultimi 30 anni.
L’acqua depurata contro la siccità
Sostanzialmente, l’Ssp è un sistema innovativo perché normalmente l’acqua depurata non è ceduta ai campi agricoli limitrofi, ma depurata e scaricata nei corsi idrici. Invece in questo modo l’acqua è direttamente coinvolta nel ciclo di coltivazioni e di riflesso diminuisce la domanda idrica. Oggi l’uso dell’acqua in agricoltura assorbe il 55% della domanda di risorse idriche in Italia, solo un terzo va invece per usi industriali e meno di un quinto in usi civili. Secondo Confagricoltura, la siccità degli ultimi anni ha provocato danni al settore per 15 miliardi di euro. E un rapporto della Fao, l’organizzazione dell’Onu che sovrintende all’alimentazione, sugli effetti delle calamità naturali in agricoltura stima in futuro per l’Italia una perdita di un miliardo l’anno in termini di qualità e quantità dei raccolti.
Così da noi come in tutto il mondo i cambiamenti climatici impongono di recuperare quanta più acqua possibile. Ma se pensiamo alle piogge in Italia (circa 300 miliardi di metri cubi d’acqua dal cielo ogni anno), riusciamo a recuperarne appena l’11% a causa delle carenze infrastrutturali. Stesso motivo per cui è risaputo – il che lo rende un fatto ancora più grave – che la rete dell’acqua potabile ha un tasso di dispersione del 42% tra immessa ed erogata, a causa di una rete infrastrutturale che più che vecchia è ormai antica. Come vecchia e sempre valida è anche la soluzione: servono piani di investimento pubblico, ma mancano le risorse. Limite confermato dal fatto che l’Italia è al terzultimo posto in Europa per investimenti nel settore idrico: da noi si spendono circa 40 euro l’anno per abitante, quando la media europea si aggira sui 100. Ecco perché il modello del Sanitation safety plan, utile in generale, risponde ad una necessità concreta in Italia, dove le carenze infrastrutturali della rete aggravano gli effetti del climate change in agricoltura.
Cos’è il Sanitation Safety Plan
L’ Ssp risponde al rebel yell contemporaneo della transizione ecologica, quel “go circular” erede del canonico “go green”: ogni soluzione di economia circolare appare una scelta di resilienza vincente, specie se abbinata a processi basati su soluzioni naturali (nature based solutions). “Il Sanitation Safety Plan nel depuratore di Peschiera Borromeo è un modello frutto della collaborazione con l’Istituto superiore disanità, il Politecnico di Milano e l’Università del South Carolina, che grazie a soluzioni 4.0, ha consentito il monitoraggio continuo e il controllo costante della qualità delle acque trattate. I risultati che abbiamo ottenuto sono stati più che positivi, e oggi siamo pronti a replicare il modello su scala industriale”, ha commentato Alessandro Russo, amministratore delegato di Gruppo Cap.
Fonte : Wired