AGI – ‘O me o le tue amiche, o me o la tua famiglia’. Filippo Turetta avrebbe provato a mettere Giulia Cecchettin di fronte a questa scelta anche dopo la fine della loro relazione. Emerge dalle indagini difensive dei legali dei genitori e della sorella della ragazza che presto depositeranno alla Procura di Venezia una memoria con dichiarazioni di amici e parenti di lei ma anche chat e audio che farebbero pensare a “uno stalking psicologico”.
“Il prossimo passo sarà un incontro formale con queste persone che abbiamo interpellato – viene spiegato all’AGI -. Il materiale raccolto ci fa pensare che Giulia fosse vittima di uno stalking psicologico che si era intensificato nell’ultimo mese ma dobbiamo ancora capire quando fosse iniziato. Dobbiamo ricostruire tutta la loro storia perché questo tipo di stalking di solito non tarda a manifestarsi. Giulia viveva un fortissimo disagio che possiamo identificare come ‘una sindrome da molestie assillanti’ che si riverberava anche sui suoi familiari”.
Quanto a possibili pedinamenti e appostamenti “stiamo cercando di capire se ci fossero”. Terminato questo lavoro, i legali depositeranno le testimonianze raccolte “come indagini difensive alla Procura che dovrà valutarne l’utilizzo”. ‘Tradurre’ però in termini del reato di stalking questo possibile contesto in cui sarebbe maturato il delitto non è immediato.
“Gli atti persecutori senza querela non sono procedibili – spiega all’AGI l’avvocata Giorgia Leone che da anni assiste donne vittime di violenza di genere -. Sono procedibili d’ufficio solo nei casi che siano commessi nei confronti di disabili o minori”. Inoltre, “si tratta di un reato applicato quando non venga riconosciuto un fatto più grave e assorbente rispetto atti persecutori che, nel caso della povera Giulia, sussiste visto che è configurabile il reato di omicidio”.
Gli audio di Giulia ed eventuali altre testimonianze o prove del comportamento assillante di Filippo potrebbero essere utili per ricostruire il movente dell’omicidio. Nella Procura lagunare è in arrivo il fascicolo con l’accusa di occultamento di cadavere da Pordenone, nella cui provincia, vicino al lago di Barcis, era stato trovato il corpo di Giulia il 18 novembre.
Intanto, Turetta attendeva la visita dei genitori che non c’è stata. “Quando potrò vedere i miei genitori?” ha chiesto e ripetuto agli operatori del carcere dal primo momento in cui ci è entrato con l’accusa di avere sequestrato e ucciso Giulia. L’ultimo contatto con loro era stato con Elisabetta Martini alle 20 e 22 dell’11 novembre: “Mamma, sono a cena fuori”. Gli avevano spiegato che, prima dell’interrogatorio di garanzia, non sarebbe stato possibile incontrarli.
Dopo la confessione alla giudice Benedetta Vitolo, li aspettava. Nicola Turetta ed Elisabetta Martini avevano in mano l’autorizzazione della Procura per vederlo ma non se la sono sentita di affacciarsi nell’abisso del figlio. Troppo subbuglio interiore, ancora, per guardarsi negli occhi, ci vorrà un delicato affiancamento degli psicologi per affrontare quel momento. Il padre aveva chiesto “scusa” e “perdono” ai genitori di Giulia. “Mio figlio deve pagare” aveva dichiarato.
Lo stesso verbo utilizzato da Filippo nelle dichiarazioni spontanee: “Sono affranto, voglio pagare per quello che ho fatto”. Al carcere veronese di Montorio si è presentato nel pomeriggio l’avvocato Giovanni Caruso per un nuovo colloquio col ragazzo. Probabile che i due abbiano iniziato a preparare il confronto col pm di Venezia Andrea Petroni nei prossimi giorni, verosimilmente dopo il primo dicembre, data dell’autopsia che darà alla Procura altri elementi per la ricostruzione dei fatti. In quell’occasione è possibile che Turetta entri nel dettaglio del racconto della settimana che ha stravolto la vita di due famiglie, quella di Giulia anzitutto, prossima alla laurea in ingegneria e col sogno di diventare illustratrice.
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Fonte : Agi