La sconfitta era attesa, la batosta, in queste dimensioni, no. Roma nella corsa ad Expo 2030 ha raccolto la miseria di 17 voti e, leccandosi le ferite, ha dovuto assistere alla festa di Riyad e al secondo posto di Busan. Un colpo di immagine pesantissimo che unisce tutti nelle responsabilità, da chi ha proposto la candidatura, a chi l’ha portata avanti e a chi non si è impegnato abbastanza. Raggi, Gualtieri, Meloni: tutti ci hanno messo del loro, contribuendo alla figuraccia della Capitale.
Due anni e mezzo di campagna elettorale per riuscire a convincere appena 17 delegati su 182. Il cambio di governo da Draghi a Meloni n piena campagna elettorale di certo non ha giovato all’immagine della Capitale d’Italia. La candidatura, è vero, era di Roma, ma non può essere un sindaco, chiunque esso sia, a convincere le diplomazie internazionali della bontà di un progetto. Meloni, in tal senso, ha fatto poco, pochissimo, spendendosi poco pubblicamente ed evidentemente ancor meno, o quantomeno con scarsissimi risultati, negli incontri privati. A nulla sono valsi gli accordi (e i fondi) con la Tunisia. Il piano Mattei per l’Africa, gli abbracci fraterni con l’Albania, le telefonate con Ursula von Der Leyen. Le fonti diplomatiche dicono che Tunisia, paesi africani, Albania, hanno tutti votato altrove. In Europa pochi hanno scelto Roma e l’Italia. Un’autentica Caporetto diplomatica sulla quale la Premier non ha voluto metterci la faccia, mandando un ministro di secondo piano come Andrea Abodi a rappresentare l’esecutivo. Ieri, come un mantra, dal comitato si ripetevano delle cifre. L’Arabia Saudita ha speso per la candidatura 190 milioni, Busan 160 milioni, Roma appena 30. Senza una Premier, senza soldi, con pochi investimenti veri, gli appena 17 voti appaiono una logica conseguenza.
Gualtieri è apparso così l’agnello sacrificale, mandato al macello in una battaglia dall’esito praticamente scontato. Il primo cittadino ha dovuto fare il sindaco, ma anche coprire le mancanze del governo. È stato istituzionalmente corretto, mostrandosi allineato con Palazzo Chigi. Un’unità che evidentemente però non c’era, e forse non c’è: attenzione in tal senso nelle prossime settimane al ruolo di commissario per il Giubileo. Gualtieri si è esposto in prima persona e, come è normale e giusto che sia, diventa oggi la faccia principale di questa sconfitta. Sconfitta che per lui diventa batosta se si guarda a Roma come comunità, per nulla ferita da questa sconfitta (anzi… Quanto fanno male tutti quelli che dicono “meglio così”, ndr) e, come abbiamo già avuto modo di scrivere, per niente innamorata o interessata all’Expo. La rappresentazione plastica di quanto i romani snobbassero l’Expo si era avuta con la vicenda dello sponsor arabo sulla maglia della Roma. La conferma c’è stata ieri durante l’attesa dei risultati. Pochissime persone in piazza per quella che era stata descritta come una maratona per l’Expo. Se 17 delegati sono pochi e rappresentano una sconfitta pesante, pesantissima, la lontananza dei romani è anche peggio e dovrebbe far indurre in riflessione chi governa la città.
E in questo quadro di responsabilità ci mettiamo anche l’ex sindaca Raggi che la candidatura di Roma per l’Expo l’ha voluta e proposta pensando che appena 15 anni dopo Milano quelli del Bie potessero tornare a premiare l’Italia. Una scelta disperata, per la sua campagna elettorale a caccia del bis da sindaca. Una scelta finalizzata a dimostrare che lei e il Movimento cinque stelle non erano contro i grandi eventi. Una decisione nata per lavare l’onta del no alle Olimpiadi, ma dietro la quale non c’era, evidentemente, una piena convinzione. Non eletta, si è ritrovata presidente della commissione di controllo e non ha battuto ciglio quando il primo progetto da lei presentato è stato completamente strappato via e sostituito con nuove idee.
Progetto, quello di Tor Vergata, interessante, verde, sostenibile, capace di ricucire alcune parti della città, ma che – è inevitabile pensarlo ora più che mai – serviva più a interessi economici di singoli imprenditori privati che a costruire l’immagine di futuro che Roma voleva mostrare al mondo. Si è parlato sempre e costantemente delle ricadute economiche che l’Expo avrebbe avuto su Roma, dei soldi che sarebbero piovuti sulla Capitale, sui lavori che si sarebbero potuti fare, dei nuovi posti di lavoro da creare, senza davvero puntare a costruire un progetto che disegnasse un’idea di Roma proiettata nel futuro. Si è costruito e portato avanti una candidatura per raccontare più quanto l’Urbe avesse bisogno di Expo e non il contrario. Negli interventi finali si è puntato sull’immagine da cartolina di Roma, sulla sua storia, sui suoi racconti eterni, sul Colosseo, sui tramonti, pensando che Roma e la sua innegabile grande bellezza bastassero per conquistare l’Expo, che in nome di questo splendore tutto le fosse dovuto. Evidentemente non era così, evidentemente non si sono capite le regole del gioco e che non basta più definirsi Caput mundi per essere riconosciuta come tale.
Fonte : Roma Today