Margherita Botto ha scelto il suicidio assistito: è morta oggi in Svizzera

Margherita Botto, professoressa universitaria di lingua e letteratura francese e stimata traduttrice letteraria, 74 anni, milanese, è morta questa mattina in Svizzera, dopo aver avuto accesso al cosiddetto suicidio medicalmente assistito.

Margherita Botto ha scelto il suicidio assistito in Svizzera

Era malata di adenocarcinoma al terzo stadio e aveva espresso consapevolmente la volontà di porre fine alla sua vita in modo dignitoso, senza ulteriori sofferenze fisiche e psicologiche. Scriveva così in una lettera alla organizzazione svizzera dove ha potuto ottenere l’aiuto alla morte volontaria: “Le mie speranze di giungere alla guarigione e di poter ritornare a una qualità della vita non dico soddisfacente, ma almeno accettabile, sono molto ridotte o nulle. Il proseguimento del protocollo di cura mi esporrebbe a ulteriori sofferenze per almeno un anno o più, senza molte probabilità di successo. In questa situazione intendo liberamente e autonomamente porre fine al protocollo di cure, affrontandone consapevolmente le infauste conseguenze”.

A occuparsi dei rapporti con la clinica svizzera, dell’organizzazione del viaggio e dell’accompagnamento sono stati il fratello, Paolo Botto, insieme a Cinzia Fornero, iscritta all’associazione Soccorso Civile, che fornisce l’assistenza diretta alle persone che hanno deciso di porre fine alle proprie sofferenze all’estero, della quale è presidente e responsabile legale Marco Cappato. Tutti e tre assistiti dall’avvocata Filomena Gallo, segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, si autodenunceranno domani a Milano dai carabinieri.

Paolo Botto “ha aiutato la sorella Margherita a non subire una morte come non l’avrebbe voluta”, scrive Marco Cappato.

Il recente caso di Sibilla Barbieri

È la seconda volta in poco tempo che un familiare di una persona che va in Svizzera per porre fine alla propria vita decide di autodenunciarsi assumendosi il rischio di conseguenze penali. L’altro recente caso è stato quello del figlio della romana Sibilla Barbieri, paziente oncologica, morta in Svizzera a inizio novembre. La Procura di Milano in passato ha già chiesto l’archiviazione dell’accusa di aiuto al suicidio per Marco Cappato sui casi di altre due persone accompagnate in Svizzera.

Cappato era stato indagato, tra agosto e novembre 2022, per aiuto al suicidio, dopo delle autodenunce, per aver accompagnato per l’ultimo viaggio alla clinica ‘Dignitas’ di Zurigo prima Elena Altamira, 69enne veneta malata terminale di cancro, e poi Romano, 82 anni, ex giornalista e pubblicitario, relegato in un letto da una forma grave di Parkinson. Il gip dovrà decidere se archiviare, disporre nuove indagini o l’imputazione coatta per Cappato. 

Dopo la nota vicenda di dj Fabo, passata per un processo a Milano e una decisione della Consulta, il suicidio assistito in Italia è legale, ma solo quando il malato che ne fa richiesta è affetto da patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Inoltre, deve essere anche tenuto in vita artificialmente da trattamenti di sostegno vitale.

Serve una buona legge

Sul fine vita, intanto, il parlamento latita. Ma questa, purtroppo, non è nemmeno più una notizia. Una buona legge per impedire che siano altri a decidere per noi non è all’orizzonte. Ogni giorno ci sono malati terminali che si suicidano nelle condizioni più terribili. Un dato di fatto. Al momento la legge italiana nega la possibilità di essere accompagnati alla fine della vita senza soffrire, condannando (teoricamente) al carcere chi aiuta. L’86% dei medici ha dichiarato che non sono i pazienti a influire sulla decisione di interrompere i propri supporti vitali, secondo la sempre attuale “Medscape Ethics Report 2014”, un’indagine svolta su oltre 21 mila camici bianchi di diverse nazionalità. 

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Fonte : Today